L’art. 873 del codice civile recita che “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore.”
Tale norma ha la finalità di assicurare la tutela di esigenze di carattere generale come la sicurezza, la salubrità e l’igiene pubblica: due corpi di fabbrica troppo vicini tra loro, infatti, ben potrebbero determinare intercapedini dannose o pericolose, idonee a trasformarsi in contenitori di sporcizia difficilissimi da pulire.
V’è tuttavia da chiedersi se il muro in questione non sia stato eretto in ossequio al disposto dell’art. 878 del codice civile, il quale prescrive che “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’articolo 873”.
La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che i requisiti del muro di cinta sono:
1) di essere isolato, nel senso che le facce di esso emergano dal suolo e siano distaccate da ogni altra costruzione;
2) di essere destinato alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura delle proprietà limitrofe;
3) di avere un’altezza non superiore ai tre metri.
Ne consegue che il muro realizzato a confine per la recinzione di un fondo che non abbia tali caratteristiche non può essere qualificato muro di cinta, ma va considerato una costruzione vera e propria – c.d. muro di fabbrica – ai fini del rispetto delle distanze legali (Cassazione civile sez. II 18 maggio 2016 n. 10265; Cassazione civile sez. II 16 febbraio 2015 n. 3037).
Ad esempio un muro al quale sia appoggiata una costruzione non può essere considerato come muro di cinta ai sensi ed agli effetti dell’art. 878, posto che tale qualifica del manufatto richiede, oltre alla destinazione del muro medesimo a recingere la proprietà ed all’altezza non superiore a tre metri, anche l’ulteriore requisito del suo isolamento su entrambe le facce.
Detti requisiti valgono a comporre il quadro di fatto all’interno del quale si esprime lo scopo dell’esistenza del muro di cinta nell’ordinamento: affinché un muro possa essere qualificato di cinta è indispensabile che sia destinato a recingere una determinata proprietà.
E se tale muro è in un tratto addossato ad un’altra costruzione? Verrebbe meno il requisito numero 1?
Anche in questo caso la Corte di Cassazione ha chiarito il dilemma stabilendo che se anche il muro in una sua parte non ha libera una delle due facce, essendo per tale tratto realizzato in aderenza ad un muro preesistente oltre il confine, non per questo perde – considerato nella sua complessiva entità strutturale e quindi anche per il tratto considerato – la caratteristica di muro di confine dotato d’una sua autonoma consistenza ed utilità, sia dal punto di vista funzionale sia da quello della continuità costruttiva ed estetica (Cassazione civile sez. II 25 giugno 2001 n. 8671).
Va, altresì, puntualizzato che, con riferimento al requisito numero 3, l’altezza del muro di cinta va misurata a partire dal livello del fondo superiore, senza aversi riguardo all’intero corpo del muro.
E’ possibile, pertanto, che il muro sia alto più di tre metri se misurato dal nostro fondo; ma se il fondo del nostro vicino è sopraelevato rispetto al nostro e la costruzione misura tre metri dal livello del suo suolo, allora questa rientra nella previsione dell’art. 878 del codice civile.
Non ci si dimentichi, infine, che le normative comunali possono sempre potenziare la tutela offerta dal codice civile e specificare i requisiti costruttivi e le caratteristiche funzionali dei muri di cinta: ad esempio possono prevedere che nelle zone agricole il muro di cinta debba essere costituito da una parete a secco o da un cordolo in muratura o cemento con eventuale rete metallica sovrastante ecc.