Stiamo ristrutturando casa e abbiamo affidato l’incarico della direzione dei lavori ad un architetto. Nel contratto abbiamo precisato espressamente che i lavori dovranno concludersi “entro e non oltre” una certa data; data in cui dovremo abbandonare la soluzione abitativa transitoria adottata durante l’esecuzione dei lavori.
Immaginiamo di aver ottenuto di abitare la casa di un nostro parente quale grazioso atto di generosità, ma solo fino ad una certa data (che è poi quella che abbiamo indicato nel contratto con il professionista).
Ci troviamo di fronte ad un termine essenziale, istituto giuridico disciplinato dall’art. 1457 del codice civile. Detta norma stabilisce che “se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse dell’altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni. In mancanza, il contratto s’intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione.”
Nel nostro caso tale termine è da considerare essenziale in quanto risulta – anche attraverso l’espressione “entro e non oltre” – la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo (Cassazione civile sez. II 26 marzo 2018 n. 7450). E’ opportuno però precisare che al fine di non incappare in equivoci e difficoltà probatorie, è bene che risulti testualmente che il termine essenziale sia stabilito in favore di una parte e, quindi, a carico dell’altra.
In effetti se lasciamo la casa di quel nostro parente e la nostra non è ancora pronta per essere occupata a causa del ritardo del professionista incaricato, saremo inevitabilmente costretti a prendere in locazione altro immobile oppure rivolgerci ad una struttura alberghiera, con un enorme aggravio di spesa e l’accollo di disagi e patemi.
Ecco che il contratto deve considerarsi risolto di diritto per l’inosservanza del termine essenziale per l’adempimento, con la conseguenza che i reciproci obblighi delle parti si estinguono e possiamo rivolgerci ad altro professionista senza temere che il rapporto con il suo predecessore inadempiente sia ancora in essere.
Attenti però: se dopo la scadenza del termine prendiamo a sollecitare il prestatore d’opera affinchè dia corso all’adempimento del contratto, allora avremo rinunciato ad avvalerci del termine essenziale e il contratto non potrà intendersi risolto “ipso iure”.
In proposito la giurisprudenza di legittimità e di merito afferma che la previsione di un termine essenziale per l’adempimento di un contratto, essendo posto nell’interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata la rinuncia ad avvalersene.
Rinuncia che può essere manifesta o può risultare da atti univoci – i cosiddetti “facta concludentia” – dai quali possa desumersi che il creditore abbia ritenuto più conforme ai propri interessi procedere all’esecuzione del contratto piuttosto che avvalersi della risoluzione di diritto, come quando abbia sollecitato o comunque accettato l’adempimento tardivo (Cassazione civile sez. II 05 luglio 2013 n. 16880; Cassazione civile sez. II 06 luglio 1990 n. 7150).
La parte che abbia rinunciato al termine essenziale originariamente posto in proprio favore, non può così invocare la risoluzione di diritto conseguente al mancato tempestivo adempimento della controparte.
Tale inadempimento potrebbe però sempre rilevare ad altri fini, come l’esercizio dell’azione generale di risoluzione e/o dell’azione risarcitoria.